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sabato 30 gennaio 2010

L'insegnamento della religione nella scuola pubblica

Da www.partitodellaliberta.it

L'insegnamento della religione nella scuola pubblica

In occasione del Convegno promosso sabato 23 gennaio a Siena dagli amici del PLI sulla proposta di introdurre l'insegnamento di storia delle religioni, è stato chiesto l'intervento a Gadiele Polacco, della direzione nazionale della Federazione dei Liberali e Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, intervento di cui si riporta il testo per la chiarezza e per la rilevanza del tema trattato.

 

Vi ringrazio di poter dare, con questa breve riflessione, un piccolo contributo alla discussione di un problema così rilevante quale quello dell'insegnamento della religione nella scuola pubblica.

Una doverosa premessa : la Laicità dello Stato pur costituzionalmente sancita è ormai messa a dura prova, in Italia,anche  da una serie di pronunciamenti e sentenze che ne evidenziano la contraddittoria impostazione.

Solo per citare alcune delle questioni prese in  esame recentemente ricordo la vicenda del Giudice Tosti (rifiuto di tenere udienze nelle
aule di giustizia dove sono esposti crocifissi,assolto nel 2009 dalle accuse formulate a suo carico),i ricorsi accolti e riguardanti appunto l'ora di
religione cattolica nella scuola pubblica (proposti da decine di associazioni comprese alcune fedi firmatarie di Intese) , la celebre sentenza europea sui crocifissi,ora oggetto di ricorso da parte del Governo italiano, il caso Englaro e similari , le diatribe sul testamento biologico (anche con risvolti locali) ,ecc

In estrema sintesi i rapporti tra Stato e fedi sono regolati dal dettato costituzionale (art. 8 in particolare) e dalle convenzioni
internazionali alle quali l'Italia aderisce.

Da liberali credo che potremmo ritenerci più che soddisfatti dei suddetti presupposti ma è dalla Costituzione stessa,appunto il già
citato art.8,che si apre la via italiana del doppio binario nei  confronti delle religioni: premesso che "tutte le confessioni
religiose sono egualmente libere davanti alla legge" si specifica però  che "le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto
di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano" prevedendo poi che "i loro
rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze"

Non esiste quindi un testo unico che riguardi la fede in genere , per quanto vari siano stati i tentativi fatti senza sortire risultato ed
ancora oggi giacciano in Parlamento proposte in merito, ma vige il Concordato con la Chiesa Cattolica di epoca fascista rivisto nel 1984 (con
l'astensione dei liberali in quel contesto ritenuta evidentemente una chiara posizione dissenziente) e per altri, ma ancora non tutti, delle
Intese.

Rilevante,ad esempio, è ad oggi la mancanza di un'Intesa con gli islamici, ormai numerosi anche in Italia ed all'interno dei quali sono decine di migliaia gli italiani convertitisi : ancora assai divisi circa chi debba rappresentarli nel nostro paese,gli islamici hanno al momento solo una consulta istituita presso il Ministero degli Interni.

Comparando Concordato ed Intese è facile rilevare,venendo allo specifico tema dell'ora di religione, come i relativi capitoli di spesa gravanti sul pubblico bilancio , fatta salva ovviamente una basilare contestazione di principio,riguardino i soli insegnanti di religione cattolica, peraltro posti sotto il diretto controllo delle gerarchie ecclesiastiche.

Si sconta anche in questo delicato settore,nel nostro paese ,l'incompiuta cavouriana di una netta separazione tra Chiesa e Stato (oggi da generalizzare a mio parere in religione in genere e Stato)  con l'aggravante attuale di un trasversale appiattimento,automatismo strumentale peraltro probabilmente anche infondato,sulle posizioni della Chiesa cattolica che attraversa prepotentemente gran parte del mondo politico, popolato da numerosi esponenti "più realisti del re" e che molto spesso settori della stessa Chiesa definiscono argutamente  gli "atei devoti".

La scuola pubblica presenta quindi un'anomalia evidente alla luce del pensiero liberale che se già vede improprio l'insegnamento della fede quale materia di studio nella pubblica istruzione (la società aperta garantisce meglio di ogni altra la libera espressione delle religioni che,pertanto,possono tranquillamente essere studiate nelle specifiche sedi religiose ed in privato),certamente non può tollerare un diverso peso tra fedi in base al quale ad una,per quanto maggioritariamente seguita, viene data copertura nel pubblico bilancio, con buona pace degli altri credenti ,ma anche dei non credenti, mentre  alle altre espressioni è garantito l'accesso nella scuola pubblica purchè avvenga,a seguito di richiesta,a proprie spese.

Se appare, credo di poterlo affermare guardando l'attuale quadro politico, per ora impraticabile una radicale riforma che  offra nella scuola statale un insegnamento di storia e filosofia delle religioni ,a chi ne sia interessato, accompagnato parallelamente da reali ore alternative per chi non propenda per lo studio delle religioni, sarebbe però lecito attendersi almeno uno sforzo per cercare di dare a tutti indistintamente,secondo le libere richieste provenienti dagli studenti,accesso a proprio carico all'insegnamento nella scuola pubblica.

La tendenza, direi spesso automatica e talvolta contraddittoria , a cercare di interpretare "a prescindere" i desiderata della Chiesa Cattolica porta invece la gran parte del mondo politico a lanciarsi od a avvallare disinvoltamente dichiarazioni , con conseguenti atti, estremamente illiberali quali,ad esempio, il concetto di supposta "superiorità" della fede cattolica sulla altre : si prefigura così una visione della società che distingue tra "tolleranti" e "tollerati".

Alla base dei vari ricorsi, passati e presenti ( ma penso anche futuri) riguardanti gli insegnanti di religione cattolica vi sono poi essenzialmente le anomalie che si creano nel voler dare peso ,nelle valutazioni degli studenti, ad un insegnamento comunque facoltativo e che, non riguardando spesso la totalità degli alunni, può produrre una disparità di valutazione inaccettabile.

In questo contesto assai angusto,anche in tema scolastico, appare lo spazio concesso a quel modello di società aperta che già, credo di poterlo affermare senza sbagliare,Cavour  prefigurava appunto nel pensare ad una netta separazione che rendesse la Chiesa libera di svolgere le proprie attività senza coinvolgimento da parte dello Stato.

La società liberale, non certo "nemica" del sentimento religioso e del valore sociale da questo espresso, appare ancora la migliore delle
risposte per garantire a tutti, nel pieno rispetto reciproco e nell'osservanza delle comuni leggi di convivenza, il proprio diritto
d'espressione.

Il quadro attuale si contraddistingue invece, nonostante l'uguaglianza delle fedi dinanzi allo Stato sancita dalla Carta Costituzionale,per ampie dosi di illiberalità che portano (si pensi,per guardare ad altri settori, ai soli cappellani militari e/o ospedalieri  cattolici oltre ai già citati insegnanti ed
altri possibili esempi) a rendere una fede più fede delle altre ed a non considerare, neo che spesso da credenti abbiamo,i diritti dei non credenti.

Reazioni scomposte,vedasi l'esempio citato in precedenza, espresse non tanto dalla Chiesa (la quale interpreta legittimamente il proprio ruolo) ma assai gravemente da esponenti politici ed anche di governo, sono giunte negli ultimi mesi ad affermare senza remore la presunta maggiore importanza,addirittura parlando appunto di "superiorità",della fede cattolica rispetto alle altre con questo tentando, a mio modo di vedere, anche una bassa ed irrispettosa
strumentalizzazione politica di quella stessa fede.

L'Italia che si appresta a celebrare il 150° dell'Unità ,non senza difficoltà non mancando chi vuole relegare in un angolo questo
evento,vede quindi ancora irrealizzato quel concetto di "libera Chiesa in libero Stato" che probabilmente oggi Cavour stesso potrebbe mutare in
"libere fedi in libero Stato".

L'importanza di una "resistenza liberale", passatemi questa definizione,è quindi inderogabile anche in questo campo,alla pari dei
tanti aspetti che rendono oggi la nostra società nazionale sempre più lontana da quel modello di società aperta che appare irrinunciabile, in
quanto in grado di garantire il diritto di tutti nei confronti di tutti, senza penalizzare alcuno, traendo proprio da questa sua imparzialità
anche la forza di intervenire, se necessario con decisione, nei confronti di qualsivoglia deriva religiosa  integralista che
ritenesse di attentare all'altrui libertà di credere in ciò che si vuole così come di non credere.

Gadi Polacco

 

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sabato 9 gennaio 2010

Sul referendum per l'ospedale a Montenero : considerazioni di Raffaello Morelli

Delle tre regole per non sprecare il referendum illustrate da Emanuele Rossi, la prima e la seconda sono considerazioni condivisibili, la terza non regge. Viene fatta confusione sulla natura di un referendum abrogativo, come quello dello scorso giugno (in apparenza voleva abrogare il porcellum, in realtà lo peggiorava assai) o come l'attuale che intende abrogare la delibera comunale sull'ospedale a Montenero. Il referendum abrogativo affida ai cittadini la scelta di abrogare o no una decisione già presa da un organo istituzionale regolarmente eletto. E siccome la Repubblica Italiana è una democrazia rappresentativa (  le decisioni sono affidate agli eletti ) e non una democrazia diretta ( i cittadini scelgono direttamente senza vincoli ) , la legge fornisce una qualche tutela alla decisione presa dall'organismo elettivo. Perciò stabilisce che, perché il referendum sia  valido, alla consultazione referendaria deve prendere parte la metà + 1 degli aventi diritto. Se non vi prende parte, non c'è una maggioranza di cittadini a favore del cambiamento, per cui è giusto (il referendum abrogativo non è appunto un istituto di democrazia diretta) far prevalere la decisione degli eletti.Dunque, nel caso della delibera su Montenero, chi propone il referendum farà bene a puntare ad una partecipazione maggioritaria. Metter le mani avanti dichiarando – come già è stato fatto – che sarebbe un successo far votare tanta gente anche se meno della maggioranza, è una assurdità. I referendum sono a tema e trasformarli in battaglie politiche dimostrative (ma a perdere)  rientra  nella dissennata politica radicale che ha portato a logorare uno strumento che, se non ubusato e distorto, svolgerebbe una importante funzione di riequilibrio in una democrazia rappresentativa. Portare al voto la maggioranza degli aventi diritto, non è del resto impossibile. Specie in questo caso, in cui militano argomenti solidi a favore dell'abrogazione. Innanzitutto quello che la maggioranza ha ribaltato ogni logica decisionale. Infatti, dopo che l'ubicazione a Montenero del nuovo Ospedale non era stata indicata nel programma elettorale di Cosimi  per il voto di giugno, a luglio il Sindaco ha deciso per Montenero con una procedura a rotta di collo, senza consultare nessuno fuori degli uffici interni ( nonostante il titolo del suo programma reclamasse la partecipazione di tutti ) e senza alcuno studio su questioni essenziali comparative ( tipo rilevamenti geologici, impatto ambientale, collocazione urbanistica, collegamenti viari, flussi dei potenziali utenti, copertura finanziaria non limitata alle partite di cassa). In conclusione. Sul referendum abrogativo della delibera Montenero, le scelte politiche sono due: o si vuole abrogare oppure no. Giustamente, siccome il Consiglio Comunale ha già votato, per abrogarla occorre andare a votare. Altrimenti resta quella di ora. E a meno di (auspicabili) ripensamenti, la maggioranza PD e alleati ha ogni diritto di invitare all'astensione.
 Raffaello Morelli
Federazione dei Liberali

domenica 3 gennaio 2010

"Il bacino grande va coperto", ma De Majo ha ben ragione!

"IL BACINO GRANDE VA COPERTO", INTERVISTA DE "IL TIRRENO" AL SEGRETARIO DEL PD LIVORNESE : MA LUCIANO DE MAJO HA BEN RAGIONE….
Nell'intervista al segretario del PD livornese Ruggeri da parte di Luciano De Majo (Il Tirreno del 3.1.10) traspare un certo nervosismo,comprensibile alla luce dell'intricato evolversi degli eventi riguardanti la questione dei bacini inclusi nella Porta a Mare e della questione delle riparazioni navali.
A quasi sette anni dall'approvazione dell'operazione,infatti, si palesa nella sua concretezza quanto, occorre ribadirlo cronologia degli eventi e degli atti alla mano, ad alcuni risultò chiaro però sin dall'inizio, ovvero la difficoltà di far convivvere certe storiche ed inderogabili attività portuali con quanto si andava prospettando, con conseguente sospetto circa le reali intenzioni nei confronti di dette attività.
Se indubbiamente il segretario Ruggeri non ha al riguardo responsabilità personali,politicamente però la cosa è diversa perché, delle due l'una, o l'amministrazione sottovalutò gravemente il problema oppure, come ritengono i "maligni", si pensò colpevolmente che non sarebbe stato un problema liquidare queste "fastidiose" e "rumorose" attività.
Eppure già allora non mancò chi individuò nella questione un tallone d'Achille di quella che sembrava l'invincibile armata denominata progetto Porta a Mare : nel suo ruolo non certo primario e non unico caso nel panorama cittadino,ad esempio il Consiglio della Circoscrizione 2 votò unanimemente un "parere favorevole condizionato" al progetto (siamo a metà luglio 2003) nel quale,tra l'altro, richiamava l'attenzione in particolare su due aspetti:
-la "garanzia della ripresa delle attività produttive" ed appunto la questione dei bacini;
-l'«attivazione di strumenti di aiuto per le attivitàcommerciali» (piani di rivitalizzazione del commercio) in centro città e nei borghi, «in accordo e collaborazione con le associazioni del commercio», per «garantire al massimo l'integrazione del carico commerciale previsto in armonia e non invasivamente con quello già esistente» (e favorendo la ridislocazione degli operatori del territorio e utilizzando gli oneri di urbanizzazione per «un piano di investimenti per opere urbane e di arredamento di pubblica fruibilità»)".
Circa la questione commercio , ancora oggi urgente da affrontare come ho ribadito anche in sede Confcommercio,tutto tace mentre è invece,per taluni inaspettatamente, esplosa con forza la questione delle riparazioni navali, attività indispensabile per un porto che voglia dichiararsi pienamente tale.
Ecco perché in una domanda dell'intervistatore De Majo c'è tutto il sunto di quanto accaduto: "ma non sarebbe stato meglio dirlo subito che con la Porta a mare le riparazioni erano a rischio?"….
Grazie e cordiali saluti,
Gadi Polacco
Faderazione dei Liberali

Livorno, 3.1.10