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martedì 31 luglio 2012

Lancio ANSA : LIBERALITALIANI, PRESENTEREMO LISTA ALLE ELEZIONI 2013 TAGLIO DEBITO E RIDUZIONE ALIQUOTE FISCALI DI 5 PUNTI IN 5 ANNI


LIBERALITALIANI, PRESENTEREMO LISTA ALLE ELEZIONI 2013 TAGLIO DEBITO E RIDUZIONE ALIQUOTE FISCALI DI 5 PUNTI IN 5 ANNI


   (ANSA) - ROMA, 30 LUG - "I Liberalitaliani sono impegnati ad organizzare una lista alle elezioni 2013 per dare voce politica ai metodi liberali". Così una nota dei Liberalitaliani, all'esito di una riunione nella quale è stata assunta la decisione di presentarsi alle urne con un proprio simbolo.

"Proporre questo tipo di voce politica - si spiega nella nota - significa porre dichiaratamente al centro delle regole e delle iniziative la libertà dei diversi singoli cittadini nella convivenza. Nella consapevolezza che non tutti condividono questa scelta (ad esempio i tecnocrati, i corporativi, gli statalisti e i dirigisti), ma che questa scelta è il solo modo
per affrontare il passare del tempo, senza illudere di poter cancellare il passato e di potere congelare il futuro in una gabbia utopica".
   "Oggi, questa impostazione impone di assicurare all'Italia -  proseguono i Liberalitaliani - una finestra temporale per fare le riforme liberali indispensabili al competere nel mondo globalizzato. Il che vuol dire curarne immediatamente lo Stato economico finanziario. Altrimenti l'Italia non potrà disporre di quel periodo".

   "Come è ormai evidente (e contrariamente alle ambigue rassicurazioni di importanti ambienti anche governativi, secondo cui l'Italia sarebbe comunque in grado di sopportare per lungo
tempo gli attuali livelli di spread) il 'risanamento' dell'economia italiana e la netta riduzione dell'enorme stock di debito accumulato è urgente - affermano i Liberalitaliani - Per riuscirvi sono necessarie due cose tra loro connesse: una politica forte e chiara di taglio e controllo del debito e un significativo abbassamento delle aliquote fisca! li (5 punti in 5 anni) a cominciare da quelle sul lavoro, sulle imprese, sui redditi medi e medio bassi, accompagnato da tagli alla spesa pubblica (5 punti in 5 anni) e, per contrastare la diffusa evasione, dalla detraibilità fiscale di beni e servizi all'individuo".
(ANSA).




martedì 24 luglio 2012

IL DEBITO PUBBLICO ACCUMULATO : UNA RISPOSTA LIBERALE ALLE DICHIARAZIONI DEL SOCIOLOGO GALLINO (RILASCIATE A IL TIRRENO)

Nell’intervista di ieri al prof. Gallino, sono riapparsi concetti del passato privi di riscontro nei fatti. Cominciano con: io non canto nel coro del pensiero neoliberale egemone in Italia e in Europa. Proseguono dicendo: la visione neo liberale è che non ci sono alternative a tagli e riduzioni del settore pubblico.  Sentenziano che il PD ha fatto proprie le ricette neoliberali. E concludono asserendo che l’egemonia neo liberale sta uccidendo il paese. Tutto senza ragionare sulla natura della crisi in atto, a livello internazionale e in Italia, e senza spiegare il perché secondo lui basterebbe che lo Stato continuasse a investire ed intervenire. E’ evidente che il vero obiettivo è il PD. Ma parlare di ricette neoliberali è una fantasia drogata che inganna i cittadini circa la reale posizione liberale sulla crisi e sulle cose da fare per l’Italia (tra l’altro i liberali non hanno potere da anni).

La crisi è il frutto di un esasperato monetarismo senza rapporto con i reali meccanismi di produzione e teso al consumo immediato a prescindere dal domani e dalle  variabili incertezze del vivere. Da qui la crisi negli Stati Uniti. La crisi si è poi estesa ad un’Europa incapace di rispondere con regole per imbrigliare l’irresponsabilità delle agenzie di rating e si è mischiata con una serie di altri fattori legati alla globalizzazione. Dalla sorda lotta valutaria USA contro l’euro, alla rigidità strutturale di molte economie europee, agli oscuri maneggi di grandi istituzioni finanziarie, all’eccesso di burocratismo di Bruxelles, ai mancati cambiamenti dell’Europa dopo Maastricht e la decisione sull’Euro. Tutto si è irrigidito, sono prevalsi in molti paesi tenori di vita superiori a quanto i rispettivi redditi avrebbero consentito (dato che, con buona pace del Prof. Gallino, i redditi non li produce lo Stato e se non vengono prodotti non possono poi essere distribuiti) e la crisi ha fatto saltare diffuse consuetudini privilegiate in cui ci si cullava socialmente.

L’Italia, in più, ha la piaga di un debito pubblico accumulato molto alto rispetto al prodotto annuo. E’ stata valutata molto in ritardo (per anni  si pensava alla concorrenza del drago cinese senza immaginare la crisi finanziaria USA) ed in aggiunta si risponde alle difficoltà dello Stato nel finanziare il pagamento del debito, battendo la strada di dare più liquido alle sue strutture e alle strutture bancarie (attraverso maggiori tasse, revisioni della spesa pubblica senza riduzione del perimetro pubblico, e massicci prestiti europei agli Istituti di credito a bassissimi interessi) e non la strada di finanziare la rimessa in moto capillare della produzione e una equilibrata domanda di consumo. Tutto ciò per la paura di dire agli Italiani che la crisi c’è, non è la solita congiura  del capitalismo dei ricchi e che si può superare affrontando innanzitutto la drastica e rapida riduzione del debito pubblico accumulato: la sola cosa che rende possibile il contestuale abbassamento delle aliquote fiscali, a cominciare da quelle sul lavoro e dell’IVA, che incidono in modo diretto e quotidiano. Le riforme delle pensioni e del lavoro sono state un primo passo, il rigore nel tenore di vita è indispensabile, ma senza la ripresa produttiva diffusa con l’innovazione innescata dalla voglia dei cittadini, non si uscirà dall’angolo. Per  la ripresa produttiva che si innescherà quando si abbasseranno le stratosferiche aliquote fiscali, occorre la drastica riduzione del debito. E questa non si fa con i sogni teorici. Si può ottenere solo attraverso consistenti cessioni di proprietà pubbliche ed una assai sostanziosa partecipazione del risparmio privato (che del resto è, proporzionalmente, di gran lunga il maggiore del mondo occidentale) che forniscano in tempi brevi risorse fresche da destinarsi esclusivamente – sotto il controllo della Presidenza della Repubblica – al pagamento dei titoli pubblici man mano in scadenza, così da evitare per qualche tempo le aste del tesoro e togliere così di bocca i lecca lecca alla speculazione internazionale. I liberali lo dicono da almeno sette mesi. Lo hanno già scritto anche su Il Tirreno.


Raffaello Morelli

lunedì 23 luglio 2012

SU LIBERALISMO E COSTRUTTIVISMO

SU  LIBERALISMO  E  COSTRUTTIVISMO

di Raffaello Morelli

 

Un importante giornalista italiano di area liberale insiste sull'idea che il "costruttivismo liberale" di Keynes è un ossimoro. Una simile posizione è un doppio fraintendimento che finisce per dare un'interpretazione depistante della natura del liberalismo, danneggiandone non poco l'immagine politica. Vediamo.

Partiamo dal fraintendimento sul rapporto tra liberalismo e costruttivismo. Definire un ossimoro questo rapporto  significa fermarsi al mondo delle idee e quindi è politicamente distorcente. Senza dubbio l'approccio liberale – in quanto legato al metodo critico ed alla sperimentazione – ha una natura del tutto differente dal proporre un determinato modello rigido che vuole applicarsi alle cose nel segno della società perfetta e dell'utopia. E perciò è vero che, stando al mondo delle idee, il liberalismo non punta ad essere costruttivista, in quanto aborre costruire una società perfetta, sempre, in via pratica o in chiave utopica. Da qui l'asserito ossimoro tra il significato dei due concetti. Solo che il liberalismo non può restare al mondo delle idee. Non a caso ho già accennato al fatto che l'approccio liberale è legato indissolubilmente ai tipici caratteri della vita reale, il metodo critico sulle cose e sui fatti risultanti sperimentalmente. Dunque il liberalismo non può essere mai indifferente a quanto, più che nel mondo delle idee, affonda il proprio agire nella convivenza concreta, che è legata allo scorrere del tempo.

Ora, siccome il liberalismo attiene alla libertà, la questione principale ed ineludibile del liberalismo politico è quella delle concrete condizioni di libertà dei cittadini. Anche nel mondo delle idee la libertà può non essere piena, ma, finché si resta nell'ambito della convinzione intellettuale, ogni posizione ha l'analoga dignità di ciò in cui si ha fede. A ben vedere, nel mondo delle idee, non sono davvero possibili costrizioni. Le costrizioni conseguono ad azioni concrete nei rapporti di vita. Di fatti, è praticamente impossibile impedire la libertà interiore e volerlo fare sconfina subito nelle costrizioni fisiche nel convivere (che impediscono la libera manifestazione del pensiero più che il suo esercizio in sé). Se il liberalismo si limitasse a predicare la libertà nel mondo delle idee, sarebbe agevole per chiunque seguire la libertà interiore (ognuno è il solo giudice possibile e dunque la libertà si trasformerebbe in un credo ritualmente celebrato senza visibili effetti esterni). Invece è dato sperimentale certo che la libertà è la caratteristica chiave di ogni individuo nelle relazioni della convivenza. La libertà non è fine a sé stessa ed è molto di più di una scelta filosofica individuale. Diviene il marchio dell'individuo quando ne investe  la dimensione dei rapporti interindividuali nel corso della vita reale.  Non a caso i primordi del liberalismo politico ascendono a quattro secoli fa, quando si cominciò a capire che individuo, metodo critico e dati sperimentali, sono il metodo più fecondo per sviluppare la libertà di ciascuno, per conoscere di più e per rendere migliore la convivenza fisica.

Dunque il liberalismo politico non può estraniarsi dal valutare le materiali condizioni di libertà dei cittadini. E, valutandole, sarebbe assurdo negasse che il tipo di strutture della convivenza influenza molto tali condizioni ed anche il possibile grado di maturazione dei singoli. Di più, sulla base dell'esperienza millenaria delle società note, è innegabile che il grado di libertà individuale nella convivenza non dipende dalla quantità di regole delle rispettive istituzioni, ma dalla loro qualità. Precisamente la qualità di essere adeguate, in quel momento e in quel luogo, a consentire e promuovere la massima possibile libertà di ogni cittadino di esprimersi  nella convivenza e di deciderne le regole. Quindi, fuori dal mondo delle idee, il liberalismo non è affatto indifferente alle istituzioni ma persegue quelle di maggior qualità adatte a favorire la libertà dei cittadini di scegliere.

Nel mondo delle idee, la distinzione  tra liberalismo e non liberalismo verte sul concepire una forma istituzionale; nel mondo reale, ove in ballo sono le concrete condizioni di libertà dei cittadini, la distinzione è invece  sulla qualità funzionale delle regole. In altre parole, siccome i fatti sperimentali hanno mostrato che occorre costruire regole per massimizzare la libertà dei cittadini conviventi,  la differenza reale è sul come concepire quelle regole per far sì che la forma istituzionale resti  di continuo adeguata. Sempre in base ai dati sperimentali, questa continua adeguatezza implica, in relazione al luogo e al tempo, costruire istituzioni direttamente imperniate sulla libertà dei cittadini e perciò dotate di una natura duttile nel tempo, non rigida bensì  strutturalmente provvisoria, appunto per consentire di assorbire di volta in volta nuove conoscenze e nuove decisioni dei cittadini.

Riferito a quanto stiamo discutendo, ciò porta a concludere che costruttivismo liberale non è di per sé un ossimoro. Lo sarebbe se si trattasse di un costruttivismo rigido quanto a modello proposto e oppressivo del cittadino, però in tal caso non sarebbe liberale. E' anzi del tutto fisiologico che i liberali propongano interventi politici per costruire, a seconda di momento e luogo, la specifica forma istituzionale od iniziativa economica, utile al conservare al meglio la libertà dei cittadini nella convivenza (la costruzione Europea lo fu all’epoca d’avvio).  Saranno poi i fatti nel tempo a mostrare gli effetti pratici di quella struttura. Assoggettandola a nuovi esami e valutazioni dei cittadini, che porteranno a cambiamenti (che oggi l’UE non si decide a fare).

Chiarito che il costruttivismo liberale di Keynes non è un ossimoro, va poi osservato che aggettivare con questo termine l'opera di Keynes rappresenta anche un secondo fraintendimento. Quello di non voler accettare che il mercato non massimizza da solo,  sempre e comunque  la libertà individuale dei cittadini e può aver bisogno di interventi fluidificanti da parte delle istituzioni della convivenza. Non accettare questo portato storico esprime l'incapacità di ragionare sulle cose al di fuori dei modelli teorici delle ideologie. Capita anche a quelli che di liberale hanno l'animo ma poi pasticciano e fanno del liberalismo un'applicazione politica di tipo ideologico, cioè fisso e non legato al variare del tempo. Una sorta di bene comune che, come ogni dichiarato bene comune, va ben oltre le regole di convivenza tra i cittadini individui e, proponendosi quale programma di merito, soffoca la libera diversità del cittadino.

Costoro restano al liberalismo del mondo delle idee, che non vuol costruire nessuna società e che tratta la libertà di ciascuno come un gusto personale, un puro fatto interiore (quasi il privato fosse una fortuna di chi può permetterselo e non un importante valore della libera convivenza).  Per questo confutano più o meno blandamente la ricetta di Keynes (quando la Grande Depressione degli anni trenta colpì l'economia mondiale) e tifano invece per il liberalismo economico della Scuola Austriaca. Confutano quella ricetta perché Keynes, già contrario alle cure deflazioniste, osò sostenere come prioritaria l'esigenza di riequilibrare l'insufficiente utilizzo dei fattori produzione e quindi finì per auspicare programmi di investimento pubblico che allargassero l'effettiva possibilità di lavoro. Il che sarebbe un  costruttivismo inaccettabile. Invece, la proposta di Keynes intendeva collegare l'andamento economico alle specifiche necessità del momento. Nella convinzione che, in pratica, i meccanismi dei rapporti economici hanno una logica loro, però non possono prescindere dalle condizioni della vita reale in cui operano. Una simile concezione configgeva con quella dei vari professori austriaci (poi diffusa a seguito della loro migrazione nei paesi anglosassoni), i quali, in nome del liberalismo classico, ragionavano sul piano degli schemi di principio. Così battevano solo sul mercato contrapposto sia a pianificazione che a intervento pubblico, sull'autonomia economica, sulla libertà come ideale esterno alle applicazioni reali.

Sembravano non accorgersi che le cose del mondo non si avviluppano tutte intorno al medesimo nocciolo. E che un conto erano i rapporti tra mondo libero e mondo collettivista (cioè il socialismo in versione stalinista o in versione reich), e un conto erano i rapporti all'interno del mondo libero. Qui si riconosce di massima il valore della libertà, e il confronto è tra chi fonda l'azione politica sulla sovranità del cittadino e chi preferisce di fatto una variegata serie di illusioni antiindividualiste affidate in misura maggiore o minore al potere, alle utopie sociali, al  fideismo.

Nel caso dei rapporti tra mondo libero e mondo collettivista (cioè tra gli stati che riconoscono e  no il valore della libertà) difendere la libertà contro il collettivismo del primo genere è un obbligo operativo senza cedimenti per ogni cittadino, di sicuro per i liberali. Nel caso dei rapporti all'interno del mondo libero (in cui di massima si riconosce il valore della libertà), ripetere il medesimo meccanismo schematico contro il collettivismo del secondo tipo equivale a bloccare lo svilupparsi della libertà, quindi a favorire questo tipo di collettivismo (invece di ostacolarlo) quale sperato rimedio contro le difficoltà. Non si tratta più di stabilire la superiorità sistemica del liberalismo sul collettivismo  in tema di libertà individuale e di prosperità (certa nei tempi lunghi, cosa del resto comprovata dall’esperienza storica). Si tratta di mantenere il miglior funzionamento del mercato rispetto alle situazioni concrete della vita in fisiologico cambiamento (siccome nei tempi lunghi saremo tutti morti, chiosava Keynes). E il funzionamento del mercato, come espressione della libertà di relazionarsi di ogni cittadino, non è un dato di natura (neppure come automatica applicazione dell’esperienza), è una complessa conquista umana che si regge su articolazioni molto delicate che hanno sempre bisogno di manutenzione al passar del tempo.

Quello di Keynes è un liberalismo costruttivo che si preoccupa delle condizioni economiche reali e non delle dispute tra modelli teorici (come fa chi snatura l’empirismo riducendolo in un libro sacro del passato, trascurando che l’empirismo è per natura la verifica dei cambiamenti nel presente). Rientra in quella linea di liberalismo non circoscritto alle idee ma applicato ai problemi del mondo che in campo istituzionale fu la linea di Cavour sul tema della separazione Stato religioni. Non a caso Keynes, a differenza dei suoi contestatori austriaci e dei loro seguaci, si è dichiarato uomo di partito liberale, cioè impegnato ad operare per il liberalismo e non a farci conferenze. E' stata proprio la diffidenza verso Keynes di questa parte del mondo liberale irrigidito nella teoria, ad agevolare il tentativo di appropriazione dell'opera di Keynes (capitato anche ad un altro grande liberale inglese, Beveridge) da parte dei laburisti e degli statalisti conservatori, in specie quelli italiani, che lo hanno usato snaturandolo e rovesciandolo (la tristemente famosa linea italica illiberale del considerare il disavanzo annuale indipendente dal debito pubblico accumulato). In parallelo, il mondo conservatore sedicente liberale (questo sì che è un ossimoro), muovendo dall'area anglosassone, ha inclinato verso le teorie della scuola austriaca con due principali effetti.

Uno,  allontanare l'attenzione del liberalismo dai problemi dello Stato per dirigerlo verso la concezione libertariana del regolarsi diretto degli individui senza lo Stato usurpatore (concezione tanto meno adatta alla realtà del mondo e meno portatrice di libertà individuale quanto più si estende il numero dei cittadini coinvolti). E l'altro, l'ossessione per il monetarismo come teoria della moneta in larga misura autonoma dalle problematiche della produzione reale e del debito pubblico effettivo (concezione dagli effetti politici tanto più illiberali quanto più applicata in modo meccanico). In altre parole, la scuola austriaca teorizza sui guasti dello statalismo, ma non si preoccupa di come evitarlo fuori della teoria e finisce per avere degli effetti politicamente  nefasti, specie quando esiste già. Questi effetti, non solo incentivano sperimentalmente posizioni politiche tipicamente illiberali, anche nei loro effetti economici, ma servono quale grancassa di posizioni conservatrici. Tanto che  l'ultimo dei professori austriaci e forse il massimo, von Hayek, avvertì questo scivolo non desiderato e, ad un suo libro molto importante, aggiunse un'appendice per sottolineare perché lui non fosse un conservatore (era il periodo di Reagan e della Thatcher). Questa dichiarazione è stata una conferma di fede nel liberalismo classico, che imponeva sì l'onestà intellettuale di rilevare le distanze strutturali del liberalismo dal conservatorismo, ma non arrivava a vedere che il liberalismo classico era un'epoca storica del liberalismo e non il liberalismo. Il liberalismo evolve con il tempo proprio perché è legato al mondo reale, non si rinchiude nel mondo delle idee. E le forme del liberalismo classico così innovative alla loro epoca, restano parimenti  innovative nel mondo di oggi, ovviamente diverso, solo se affrontano con lo stesso metodo le sacche di illibertà che affliggono oggi i cittadini. Keynes lo aveva colto.

Al termine di queste considerazioni sui rapporti tra liberalismo e costruttivismo, desidero rilevare che la posizione di quei liberali che amano esibire la loro classicità, fa al liberalismo politico un danno involontario  ma paragonabile a quello fatto dai suoi avversari. Diffondono il vezzo dell’esser liberali solo esibendo la propria individualità, gongolando nel dire che i liberali sono quattro gatti (quasi che fosse disdicevole scoprire che sono di più) e chiudendosi nella contemplazione dei liberali dei secoli scorsi. Così, tagliano il legame del liberalismo con il tempo (che ne è il dna) e danno il monopolio dell’oggi alla demagogia di chi esalta il tempo presente come non tener conto dei fatti risultanti dal tempo passato. Che non abbiano questa intenzione, non conta. Rendono l’essenza liberale incapace di incidere, incomprensibile e quindi senza attrattiva.

4 luglio 2012

Tagliando ZTL a prezzo pieno ma con validita' ridotta. Meno male che non era questione di cassa....

IL Tirreno ci informa della "beffa" dei tagliandi ZTL riservati,a pagamento, per alcune privilegiate categorie.
Entrata in vigore a giugno, la gabella di 58,00€ e' stata fatta pagare per intero,ma il tagliando scadra' a fine 2012.
Meno male che non era questione di cassa...
"Ma mi faccia il piacere", direbbe il grande Toto',aggiungendo"ed io (pur fortunato ammesso al tagliando) pago!".