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martedì 1 dicembre 2020

A CINQUANT'ANNI DALLA LEGGE SUL DIVORZIO

Articolo di Raffaello Morelli, pubblicato da Il Tirreno, 30.11.2020

Il cinquantenario della legge  898 del 1° dicembre 1970, scioglimento del matrimonio, non può essere un rito della memoria e basta. Fu un cambiamento epocale dei rapporti tra i sessi che è vivo ancora oggi. 

Perché e come ci si arrivò? Il perché fu il voler introdurre i caratteri di civiltà del nuovo istituto. I nemici furono  l'arretratezza di fasce della società e le fantasiose paure che il divorzio  avrebbe disgregato la famiglia.  Si trattò di convincere i cittadini che non si può stabilire a tavolino come va la vita. Un matrimonio fallito non si aggiusta stabilendo per legge che non si può correggere l'errore. Non sciogliere un rapporto malato crea una società con chiaroscuri medioevali, dove vige il conformismo deteriore delle apparenze. La civiltà laica sono i rapporti trasparenti tra individui diversi.

Si arrivò alla 898/1970 costruendo un "divorzio serio", con garanzie  per evitarne ogni abuso e per porre rimedio dopo le decisioni coniugali. Fu un farmaco salutare per impedire il protrarsi dell'ipocrisia del ricorrere ai meschini sotterfugi. Del resto, anche per i figli, il penoso spettacolo degli inganni reciproci non era un ambiente adatto ad una formazione equilibrata. Un "divorzio serio" era  sicuramente preferibile all' ipocrisia del "divorzio all' italiana" fatto di violenza e doppiezza. E non avrebbe creato, come non creò, divisioni di natura religiosa.

Il percorso della legge fu accidentato. Oltre le iniziative Fortuna e Baslini, per oltre un anno solo il PLI scelse la linea divorzista. Il PSI non appoggiava Fortuna (lo farà solo dall'autunno '68), il PCI esibiva una fredda ostilità, la DC e il MSI erano contrari (e con una compattezza superiore a quella ecclesiale). Poi con un'azione capillare seguita dalla stampa – con l'aiuto dei settimanali ABC  ed Espresso – e con la spinta di gruppi della società, come la Lega Italiana per il Divorzio e una selva di associazioni locali di cittadini socialisti, liberali e radicali, il progetto di legge unificato Fortuna Baslini conquistò la maggioranza in Parlamento.

In tutto il percorso, fu seguita la linea delle idee riferite alla vita di tutti i giorni e dei principi politici da adottare per realizzarle.  Ebbe successo prima in parlamento e poi tre anni e mezzo dopo al referendum, contro le previsioni non solo della Chiesa e della DC ma del PCI. Le prime due erano convinte e il terzo temeva, che il parlamento non rappresentasse davvero la volontà dei cittadini. Invece la maggioranza nelle urne ­ fu perfino più ampia di quella Parlamentare.

In seguito, gli aggiustamenti alla legge ne hanno irrobustito l'impianto e oggi pure gli avversari di allora riconoscono l'importanza di averla introdotta. L'insegnamento da trarne è che  la forza della linea civile laica è lo stare sempre focalizzata sulla realtà del vivere individuale e sul fare leggi capaci di formare rapporti aperti di libertà. Mai la linea civile laica può voler stabilire per i cittadini un dover essere ideologico. E' il punto essenziale. 

Purtroppo è un punto trascurato, in specie dai mezzi di comunicazione, stampa, tv e social. Si omettono i fatti reali, in nome della frenesia di notizie bomba, del ridurre la vita a spettacolo. Iniziò nel decennio dopo il 1° dicembre 1970, quando i mezzi di comunicazione instillarono la convinzione falsa che divorzio e aborto fossero opera dei radicali (i quali all'epoca del divorzio non erano in parlamento e quanto all'aborto non furono mai favorevoli alla  legge 194/78, contro la quale votarono no in parlamento e sì per abrogarla al referendum del '81). E' da qui che è iniziata a diffondersi l'idea che non conta il parlamento ma quello che si presume vogliano  piazze e  mass media.