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giovedì 23 aprile 2015

Le polemiche sui migranti. Di Raffaello Morelli (Il Tirreno, 22 aprile 2015)

Questa volta il Dé nel deserto di Roberta Bancale parla di chi ha fatto commenti dissennati sulla tragedia dei migranti e lo paragona a bimbi con un'infanzia infelice, che poi cresciuti spargono il seme dell'odio verso quanti vorrebbero venire in Italia per rubarci il lavoro. Dal punto di vista emotivo, si capisce la sua reazione contro chi ha parlato degli annegati come di "pastura per pesci", ma dal punto di vista del convivere civile una reazione del genere è del tutto riduttiva rispetto al problema in ballo, persino elusiva.
 Da lungo tempo incombe il problema dell'afflusso verso le coste italiane di decine di migliaia di persone provenienti dal Mediterraneo. Fino ad oggi è stato affrontato con il parametro abituale delle crisi internazionali, il soccorso ai profughi e ai rifugiati. In pratica si sono compiuti atti tali da consentire il rispetto dei diritti umani di quelle persone. Oggi, tale afflusso ha assunto dimensioni tali (la procura di Palermo ha dichiarato che un altro milione di migranti è già pronto a sbarcare in Italia) da rendere del tutto inadeguato l'approccio seguito fino ad oggi.

Quelle dimensioni e il loro prevedibile persistere per ancora lungo tempo sono il sintomo di una malattia politica grave. Che richiede un tipo di cure nuove , complicato, in sostanza da inventare attraverso la collaborazione internazionale, su cui far confluire risorse epocali.   Di conseguenza, è perfino patetico continuare a lamentarsi perché  l'Italia non è abbastanza sostenuta dall'Europa. Non ci si rende conto che il sostegno è molto cauto proprio perché in Europa molti colgono la strutturale non adeguatezza di come ora ci si muove. 

Perciò, reagire polemizzando con il razzismo contro i migranti, finisce per eludere la sostanza del problema in ballo e lo aggrava. Lanciare tali anatemi e ricorrere alla protesta morale per il non rispetto dei diritti umani in Africa o in Medio Oriente, non permette in alcun modo di trattare i concreti problemi immani della distanza tra la qualità della vita in Europa e quella di certi paesi dilaniati da scontri di potere e dalla scarsa (se non quasi assente) disponibilità di risorse quotidiane per gli abitanti. Tali problemi non si possono trattare con forme ideologiche o religiose di illusoria salvezza utopica. Dovremmo averne chiara consapevolezza proprio noi paesi più evoluti. Oltretutto, per evitare, con il ricorso all'emotività per trattare questi immani problemi, il sorgere di nostri conflitti interni e magari il favorire interessi di certe associazioni  di accoglienza. Nell'emergenza che si sta profilando, non è una soluzione praticabile accogliere senza limiti e condizioni i migranti.  Le miserie del mondo non si affrontano con l'indignazione senza progetto e senza risorse. Questo non è indifferenza ma il responsabile realismo che, per costruire un convivere migliore, non punta sull'illusione. 
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