Il clamore mediatico sulla vicenda dei 13 pazienti morti in 18 mesi all'Ospedale di Piombino per accertate cause non naturali, ha connotati quasi esclusivamente gialli: il killer accusato è o no il vero killer? Sta invece pressoché nel dimenticatoio il vero tema forte e preoccupante, e cioè il significato della stessa vicenda riguardo a come è organizzato il nostro convivere.
Perché la tragedia all'Ospedale di Piombino non è stata un'azione improvvisa e imprevedibile di persone dedite a colpire quelli da loro disprezzati. Fin dalla morte della prima vittima, il laboratorio dell'Ospedale ha scritto che nel cadavere i parametri della coagulazione erano sballati. Quindi sussisteva una grave anomalia, confermata subito dal primario del reparto. Fino a qui un caso medico da chiarire. Però un quadro identico si è ripetuto settimane dopo (e per altri 18 mesi) senza che, a parte le indagini penali, venisse mai affrontato l'irrefutabile nodo di natura sanitaria. Vale a dire che all'Ospedale di Piombino – non a quelli di Campiglia, di Cecina, di Follonica, di Massa Marittima, di Livorno, di Grosseto – si verificavano in un certo reparto decessi di pazienti non terminali in cui i cadaveri presentavano le medesime caratteristiche sballate di coagulazione.
Le povere vittime di Piombino fanno suonare un campanello di allarme sul nostro convivere. Nella convivenza il rispetto delle regole è essenziale, a patto di coglierne davvero la natura. Le regole riguardano il modo di confrontarsi tra cittadini a proposito degli effettivi problemi del vivere e non devono trasformarsi in una sovrastruttura rigida per dare il ritmo alle cose del mondo anche a costo di staccarsi dalla realtà dei fatti e di far chiudere gli occhi su insorgenze endemiche della sanità.
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