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giovedì 27 agosto 2009

Testamento biologico e Laicita' delle istituzioni

"Secondo i senatori Gasparri e Quagliarello, capogruppo e vice del Popolo della Libertà, la norma sul testamento biologico approvata lo scorso marzo dal Senato e ora in discussione alla Camera, esprime il libero convincimento dei senatori e non può esser tacciata di clericalismo. La loro è una frase senza senso. Anche i clericali hanno dei liberi convincimenti. Che restano convincimenti clericali. Nel caso, come si dovrebbe definire, se non clericale, una norma che ha denomina  testamento biologico un atto che il cittadino può fare ma di cui, ai sensi dell'art. 4 comma 6 e dell'art.7 comma 1 , il medico può tranquillamente non tener conto ? Una norma che oltretutto all'art.3 comma 5, esclude alimentazione e idratazione dal testamento biologico perché non sarebbero trattamenti medici invasivi, come viceversa ha stabilito la quasi totalità degli scienziati? Mutare alla Camera questa norma è un'esigenza di laicità valida per tutti i cittadini, credenti o non credenti.L'uscita dei sen. Gasparri e Quagliarello è l'ennesimo episodio che deve spingere a imperniare una politica per la civile convivenza sulla difesa diffusa della  laicità delle istituzioni modellata sul principio della separazione tra Stato e Chiesa. C'è un primo passo da fare. Capire che l'avversario della laicità  non sono la religione e le gerarchie religiose, cosa questa non chiarita bene neppure nelle parole del Presidente della Camera.  L'avversario sono i teo-con, vale a dire i politici e i cittadini ordinari, che cercano di soffocare le libere determinazioni di ciascuno, credente o non credente, assoggettandole al conformismo dei modi di vita di qualcuno, fosse anche la maggioranza E che spesso lo fanno neanche per  convincimento ma per  convenienza di potere."  Questo il commento di Raffaello Morelli, Presidente della Federazione dei Liberali, alla dichiarazione dei sen. Gasparri e Quagliarello.

venerdì 14 agosto 2009

Ora di religione. Una domanda al ministro dell‘Istruzione: all'asilo e' libera scelta?

Ora di religione. Una domanda al ministro dell'Istruzione: all'asilo e' libera scelta?
13 Agosto 2009

La senatrice Donatella Poretti, Radicali - Pd, e' intervenuta in merito:
Mentre non siamo ottimisti sull'intervento del Consiglio di Stato, che dovrebbe smentire se stesso e cio' che decise nel 2007 (1), ci auguriamo che il dibattito di questi giorni serva per aprire uno squarcio di informazione e magari anche un dibattito libero sull'attuale situazione. Sui paradossi dell'ora facoltativa che genera privilegi, su insegnanti scelti da vescovi ma pagati dallo Stato piu' di quelli arrivati alla scuola pubblica per concorso, su una scelta apparentemente libera che non puo' essere revocata durante l'anno scolastico (2), e su una scelta che viene imposta dai genitori e realizzata dallo Stato.
Una domanda al ministro dell'Istruzione: all'asilo e' libera scelta?
Gia' a partire dall'asilo, la scuola pubblica prevede l'insegnamento di religione cattolica, facoltativo. Forse sarebbe bene rivedere la materia alla radice, che' uno Stato laico e multiculturale dovrebbe immaginare che nella scuola pubblica si faccia catechismo di Stato, a bambini di 3 e 4 anni per due ore alla settimana.
Questo e' il programma previsto dall'Intesa del 2003, sottoscritto dall'allora ministro all'Istruzione Letizia Moratti per la scuola materna:
- Osservare il mondo che viene riconosciuto dai cristiani e da tanti uomini religiosi dono di Dio Creatore.
- Scoprire la persona di Gesu' di Nazaret come viene presentata dai Vangeli e come viene celebrata nelle feste cristiane.
- Individuare i luoghi di incontro della comunita' cristiana e le espressioni del comandamento evangelico dell'amore testimoniato dalla Chiesa.

(1) http://www.donatellaporetti.it/comu.php?id=498
(2) http://blog.donatellaporetti.it/?p=336

Da Facebook (pagina "Laicità dello Stato) una testimonianza di un insegnante di religione cattolica

Gabriele Maestri ha scrittoil 12 agosto 2009 alle 23.37
Il 30 giugno scorso si è conclusa (temporaneamente) la mia esperienza di «insegnante di Religione cattolica» in una scuola media. Era iniziata a settembre del 2008, assolutamente inaspettata: nella mia vecchia scuola media c’era uno “spezzone” di otto ore che nessuno degli abilitati aveva coperto e l’ufficio diocesano si era rivolto a me (dopo l’assenso del mio parroco) per chiedermi di assumere l’incarico. In un primo tempo ero dubbioso: è vero, avevo fatto il catechista per vari anni e tuttora svolgo altri servizi nella mia parrocchia (sono organista e conosco bene la liturgia), ma non ero certo di poter affrontare un impegno simile senza un’adeguata preparazione (gli abilitati hanno pur sempre frequentato l’Istituto superiore di scienze religiose); l’insegnamento non era nuovo per me, ma avevo tenuto dei corsi limitati e non avevo mai avuto la responsabilità di un intero anno. Alla fine, tuttavia, decisi di accettare la sfida, accogliendola – lo ammetto – come una benedizione: ero laureato da pochi mesi, speravo di essere assunto dal quotidiano con cui collaboravo (non mi chiamarono mai) e non avevo all’orizzonte possibilità immediate di lavoro. Così il 17 settembre, a 25 anni e tre mesi, mi ritrovai per la prima volta dietro una cattedra.

Fin dall’inizio ho avuto chiaro che dovevo svolgere la mia attività in base ai valori che cerco di coltivare: mi ritengo cattolico (e questo mi avrebbe aiutato nella conoscenza della materia che dovevo spiegare), ma anche profondamente laico. Ricordo che lo evidenziai fin dalla stesura del mio programma, in cui scrissi tra l’altro: «In costanza dell’attuale disciplina (di cui si prende semplicemente atto) che prevede espressamente che si insegni la religione cattolica, ed in assenza di previsioni (forse auspicabili) che configurino l’educazione religiosa come un insegnamento naturalmente pluralistico, senza un’attenzione prevalente ad un singolo culto, occorre trovare il giusto equilibrio tra la rispondenza ai programmi stabiliti a livello nazionale e la necessità di non far somigliare le lezioni ad una qualche forma di catechesi (ovviamente lontana dai compiti assegnati alla scuola, per di più pubblica)».
Coi miei ragazzi ho cercato di capire fin da subito quale fosse il senso di «un’ora di religione» nel percorso scolastico: abbiamo visto che comprendere il concetto di religiosità e vedere come l’hanno svolto nel tempo le varie società può aiutare a capirne particolari di assoluto rilievo. Certo, i programmi danno molta attenzione all’ebraismo e, ancor di più, al cristianesimo, di cui si cerca di passare in rassegna la storia: se questo percorso è compiuto con attenzione, però, i ragazzi possono ricevere un punto di vista ulteriore (anche se non per forza privilegiato) per analizzare le vicende storiche, per attualizzarle o, ancora, per comprendere volta per volta il contesto culturale in cui, tra l’altro, maturano arte, letteratura e persino espressioni dell’italiano corrente. Quell’ora settimanale poi, specie nelle classi terminali, poteva essere un’occasione sia per affrontare temi di seria attualità (partendo dalla visione cristiana-cattolica delle questioni, ma allargandosi a tutti i contributi meritevoli), sia per conoscere meglio le altre religioni con cui è sempre più facile venire a contatto.

Se tutte queste cose sono riuscite, non sta a me valutarlo; certo, da parte mia c’è stato tutto l’impegno possibile. Non dimenticherò facilmente alcuni ragazzini di prima media che, con il candore che i loro 12 anni permettono, mi hanno fatto domande tutt’altro che liquidabili in due parole: penso a «Come mai l’angelo più bello è finito all’inferno?» (uno dei concetti meno chiari e più affascinanti della dottrina), «Perché tanti cristiani bestemmiano il loro dio?» (me l’ha chiesto un ragazzino pakistano, senza provocazione ma con uno sguardo tenerissimo) o «È vero che nella Chiesa ci sono i pedofili?» (non è facile avere la risposta pronta per una bimba bionda e sveglissima, cui ho detto che purtroppo nella Chiesa, come in tutta la società, esiste questa orribile deviazione, ma non per questo chiunque porti un abito sacro dev’essere guardato con sospetto). Con i ragazzi più grandi è stato bello cercare di capire insieme i loro dubbi, il loro mondo e il mondo degli adulti, che loro spesso non capiscono (e non hanno torto); abbiamo analizzato insieme i punti di contatto tra vari culti, le guerre che dietro la religione nascondono ben altro, le tracce di sacro e di spirituale che sono sparse nella musica, senza nasconderci i problemi di cui i più attenti sentivano parlare ai telegiornali (abbiamo tranquillamente parlato del “caso Englaro”, di prostituzione e di ingiustizie sociali, cercando di non lasciare un millimetro di spazio a pregiudizi o a “verità” preconfezionate).

Pensandoci bene, se c’è una cosa che vorrei aver insegnato a questi ragazzi, non penso a una nozione o a un concetto: vorrei piuttosto che avessero colto l’importanza di ragionare, pensare con la loro testa, guardare il mondo per intero, informarsi, per poi farlo sempre di più con il passare del tempo. Nelle verifiche e nelle interrogazioni valutavo la conoscenza degli argomenti che avevamo trattato (non certo la loro condivisione), ma mi stava ancora di più a cuore il modo in cui i pensieri erano espressi, la capacità di analizzare ciò che si era visto insieme, senza fermarsi alle formule del libro o agli appunti presi.
Lo ammetto, per me Religione è una materia come le altre, nel senso che merita almeno la stessa attenzione che i ragazzi danno all’italiano, alla matematica o alle lingue straniere; certo, non può essere valutata come le altre (non a caso non c’è un voto, bensì un giudizio) e il voto deve riguardare le sole capacità, non certo le credenze di ognuno: sono felice di aver dato «ottimo» a una ragazzina (quella della domanda sui pedofili) che a 12 anni si proclama agnostica e ha capito e studiato più di tanti altri, presunti cattolici romani.

Un’ultima parola sulla sentenza del TAR Lazio e, in generale, sugli esami di Stato. Tra i miei difetti, oltre al mio essere estremamente laico, c’è la mia abitudine a leggere i documenti di cui si parla (sarà colpa della mia laurea in Giurisprudenza), abitudine che temo di non condividere con molti cattolici, praticanti e politicanti, e (purtroppo) anche con vari ministri di Dio. I giudici non hanno creato alcuna materia o docente di serie B: si sono limitati a far notare che, in base alla situazione attuale, far rientrare nel computo numerico del credito scolastico una materia che non tutti svolgono (quando spesso le attività alternative non esistono) e che attiene a un’area tanto delicata quanto personale non è opportuno perché rischia di creare discriminazioni. Aggiungo che quello di religione – l’ho già ricordato – non è un voto numerico e già questo rende difficile una sua corretta “traduzione”; in più, in effetti, la mia materia spesso è “di manica larga” nella valutazione dei ragazzi (per motivi la cui spiegazione sarebbe troppo lunga) e chi sceglie di non avvalersi di quell’insegnamento rischia in effetti di iniziare l’esame di Stato con un credito scolastico meno favorevole. Quanto ai «crediti formativi», l’ex ministro Fioroni ha sottolineato l’assurdità di non valutare a tal fine la partecipazione alle lezioni di Religione, mentre “fanno punteggio” i corsi di danza o le presenze nel volontariato; non è forse assurda la stessa disciplina dei crediti formativi, che fa rientrare nella valutazione elementi eterogenei e talvolta lontani da un percorso di crescita? Eppoi il credito formativo di solito vale pochissimo (spesso si tratta di un punto o al massimo due) e non viene attribuito se fa accedere a una fascia di valutazione più alta: vale la pena di stracciarsi tanto le vesti?

giovedì 13 agosto 2009

Da taluni commenti alla sentenza del TAR del Lazio emerge chiara una voglia di "laicità limitata",ovvero acattolici e non credenti si accontentino di essere "tollerati"

Ricorda un lancio dell'Agenzia ASCA del 13.8.09,con mirabile sintesi, che il giorno prima Mons. Coletti,presidente della Commissione CEI per l'educazione cattolica e la scuola,"aveva invitato le altre Chiese cristiane e le altre religioni presenti in Italia ad accettare il ruolo preminente del cattolicesimo nel nostro Paese,dettato dalla storia".
Ecco il vero punto della questione che emerge,peraltro,da altre dichiarazioni anche di politici automaticamente allineatisi alla direttiva della CEI ,con però la grande differenza che Mons. Coletti esprime legittimamente e comprensibilmente una visione di parte,come un buon avvocato cerca di fare per difendere la causa affidatagli,mentre i rappresentanti eletti del popolo dovrebbero aver ben presente che rispondono ai dettami della Costituzione che afferma la Laicità dello Stato.
Dimentico totalmente dei diritti dei non credenti dunque Mons. Coletti, con quanti si sono uniti a tali concetti,prefigura il suo stato ideale,ovvero quello nel quale chi non si riconduca alla Chiesa di Roma deve accontentarsi di essere "tollerato",diciamo eufemisticamente sottoposto ad una "laicità limitata e vigilata".
Il resto appare tattica, anche con qualche disinvolta manovra verbale.
Bizzarra la teoria secondo la quale "uno Stato davvero laico", è sempre Mons. Coletti a parlare, "dovrebbe essere preoccupato di valorizzare tutte le identità,ciascuna a seconda del proprio peso e rilevanza culturale..." : se la prima parte è un concetto che certamente può trovare posto in una società aperta,quindi laica, l'idea di una sorta di "manuale Cencelli" applicato alle religioni è decisamente e negativamente originale.
Rimane poi da capire quale "peso" assegnare ai non credenti,pure esprimenti una loro idea,poichè a seconda dei parametri utilizzabili potrebbero rivendicare una "quota" maggioritaria.
Peraltro anche nella sua originalità,la tesi sembra ignorare il fatto che ad oggi,comunque,una sola religione è insegnata nella scuola pubblica italiana ,quindi inserita nel pubblico bilancio.
Arduo da sostenere è anche il concetto, cito sempre l'intervista di Mons. Coletti,secondo il quale l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica "non è affatto un principio confessionale..." : sul sito della Radio Vaticana del 24 aprile 2009 però si può leggere, tra l'altro e riferendosi sempre alla questione dell'insegnamento della religione cattolica nell scuola pubblica : "il cardinale Angelo Bagnasco sottolinea che la confessionalità non è una complicanza...", mentre sempre l'ASCA ci ricorda anche come l'alto esponente della Cjhiesa,parlando proprio ad un convegno di insegnanti di religione cattolica, ebbe ad affermare che "la confessionalità non può essere vista come una complicazione o un intralcio all'esercizio della laicità,bensì essa costituisce una garanzia di identità".
Da ultimo,ma non certo ad esaurire i termini del dibattito,sarebbe bene anche approfondire correttamente (l'agenzia Ansa aveva in rete un'interessante "specchietto" al riguardo) ciò che avviene in altri paesi a noi vicini, visto che spesso si tende ad affermare genericamente che "anche all'estero..."
In un contesto che parte da simili concetti, non rimane quindi che augurarsi che la politica,trasversalmente intesa, si desti finalmente e metta in grado lo Stato di svolgere concretamente,nella salvaguardia dei diritti dei cittadini che la Costituzione vuole tutti uguali, quel ruolo regolatore e di garanzia che il concetto di società aperta ben delinea.

Gadi Polacco
Consigliere Federazione dei Liberali

13 agosto 2009

mercoledì 12 agosto 2009

LA SENTENZA DEL TAR DEL LAZIO E' ESEMPLARE PER CREDENTI E NON CREDENTI

COMUNICATO STAMPA

Non smentendo la propria secolare abilità, il Vaticano, attraverso il Presidente della Commissione Episcopale per l'Educazione Cattolica, ha commentato la sentenza del TAR del Lazio in modo inequivoco e ineccepibile : "La Chiesa non farà ricorso contro la sentenza. Il problema è  del Ministero della Pubblica istruzione". 

Su questo siamo del tutto d'accordo con il monsignore. Appunto perché la questione è cosa che riguarda le istituzioni italiane, il TAR del Lazio ha fatto benissimo a bocciare le ordinanze dell'allora Ministro margheritino Fioroni che attribuivano crediti formativi scolastici alla scelta di avvalersi dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. 

Quella del TAR è una sentenza esemplare che, riprendendo la pronuncia  della Corte Costituzionale ( 203/1989)  che ha sancito la laicità dello Stato, da concretezza al principio essenziale di uno stato liberaldemocratico, e cioè che ogni Chiesa deve avere il solo privilegio di poter esercitare liberamente il proprio ministero e nessun altro , né esplicito né implicito.  Sino a che i programmi della istruzione pubblica non prevederanno o il corso di storia delle religioni oppure la possibilità per ogni credente o per ogni non credente di ottenere crediti formativi con le proprie scelte, fino ad allora la scuola pubblica non può discriminare all'interno del pluralismo religioso, dando ad alcuni dei vantaggi nel profitto scolastico che altri non possono avere se non rinunciando alla propria libertà di coscienza. 

Ancora una volta i liberali  vedono confermato nella pratica il fatto che i veri avversari del separatismo tra Stato e Chiesa sono quei cittadini e quei politici i quali, per opportunismo  quotidiano, cercano di piegare lo spirito della Costituzione e della libertà individuale di religione a pratiche conformistiche in ossequio al comunitarismo, arrecando così un grave danno ad ogni cittadino ed aiutando irresponsabilmente le sempre presenti pulsioni fondamentaliste. Negare la centralità politica della laicità delle Istituzioni ,  è negare l'esperienza storica  confondendo le funzioni tra le leggi per una civile  convivenza e i precetti religiosi.

Federazione dei Liberali

12 agosto 2009

martedì 11 agosto 2009

"I Cavour e i Garibaldi tutti stronzi...", una controproposta al Sindaco che oppone l'anno garibaldino agli attacchi leghisti all'unità nazionale.

Caro Direttore
a rompere una certa ripetitività insita nelle tipiche notizie estive, il Sindaco Cosimi avanza una seria "provocazione" e lancia l'iniziativa di un 2010 livornese quale "anno dei garibaldini",per contrastare "l'aggressione ora aperta ora strisciante da parte della Lega alla sostanza e ai simboli dell'unità nazionale" e, per quanto non appaia poi tanto convinto del fatto che le proposte leghiste trovino realizzazione, rileva comunque l'utilità e l'importanza di riscoprire il significato e i valori appunto dell'unità nazionale.

Nobile certamente l'intento, appare però parziale la via in quanto non si può prescindere ,in tema di unità nazionale, anche dagli altri grandi ed indispensabili personaggi che contribuirono a realizzarla.

Tra questi prevalse infine la linea di Cavour che si attuò attraverso l'espansione del Regno di Sardegna ,in alternativa in particolare alla visione mazziniana,del quale entrò a far parte anche la Toscana con il plebiscito del marzo 1860 : di quel Regno facevano quindi parte i 112 livornesi che si stima parteciparono a poi alla spedizione garibaldina.

Personaggi diversi, non di rado con visioni e tattiche contrastanti , erano uniti però dal comune obbiettivo di unire l'Italia e, non a caso quindi, Cavour ispirò e finanziò tra l'altro quella "Società Nazionale" fondata nell'agosto 1857 e presieduta da Daniele Manin che tuttavia morì poco dopo. La Società, sorta appunto per unire le varie anime che si prodigavano per l'unità nazionale e sciolta nel 1862 quando il proprio programma coincideva ormai in pieno con quello del governo italiano, ebbe quale vicepresidente onorario anche Garibaldi(alcuni testi parlano invece di presidenza)

Viene quindi spontaneo controproporre , "sic et simpliciter", che questa iniziativa venga realizzata in nome del Risorgimento tutto che peraltro ha a Livorno un'ottima ed ormai articolata espressione nel Comitato per la promozione dei valori risorgimentali, operante sin dal 2000.

Se poi tutto ciò non dovesse bastare, proprio da Umberto Bossi ci proviene la prova di quanto forte sia il legame tra due personaggi ,pur tanto diversi,quali Cavour e Garibaldi: la gente del nord, "spiegava" nell'agosto 2007 il leader leghista, ha creduto «stupidamente ai Cavour e ai Garibaldi, tutti stronzi....."

Al Sindaco Cosimi credo che non serva altro.

Cordialmente,

Gadi Polacco
Consigliere Nazionale Federazione dei Liberali

sabato 1 agosto 2009

Pillola Ru486 : atteggiamenti illiberali e confusione

Il governo sta reagendo con l'abituale ipocrisia politica al via libera alla messa in vendita anche in Italia ( seppure con molto ritardo ) della Pillola Ru486.Il  Ministro Sacconi e la sottosegretaria Roccella sanno bene che il loro dispetto per la decisione dell'AIFA non ha appigli ragionevoli, né per la scienza né per le regole della libera convivenza tra diversi. Il loro dispetto avrebbe un solo appiglio possibile: esternare la loro scelta a favore  di una politica e di norme modellate sui criteri e sulle convinzioni di una fede religiosa. Che ovviamente sono l'opposto di una concezione liberale ma che hanno la dignità di dire come dovrebbe essere la società italiana secondo loro. Però, i due membri del Governo non hanno il coraggio di farla questa esternazione e allora annaspano agitando falsità giuridiche e immotivate paure. Infatti è falso far intendere che ammettere la vendita della Ru486 supererebbe la legge sull'aborto ed è falso far credere che la pillola Ru486 costituirebbe un grave pericolo per la salute della donna. Un simile atteggiamento non è solo illiberale e fa intendere un intento punitivo, inquina la trasparenza del dibattito democratico sui modi di organizzare la convivenza. E ciò è un'ulteriore riprova della inadeguatezza del centro destra circa la capacità di affrontare i problemi del paese accettando la diversità di ogni cittadino. Certo, su questo terreno il centro destra non viene incalzato dal PD. Il PD non è determinato per compiere a livello politico una scelta inequivoca a favore della laicità delle istituzioni. Basti vedere che il candidato alla Segreteria . il sen. Marino, quello che vorrebbero indicare come il sostenitore della laicità, non ha ancora capito che l'obiettivo della laicità sta nel suo metodo di affrontare la realtà e confonde la laicità del confronto tra diversi con l'interesse generale. Quando all'opposto è proprio ispirarsi a questo metodo dell'interrelazione dei singoli cittadini e non alle credenze religiose che costituisce il criterio legislativo della laicità istituzionale. Se questo è il candidato fautore del metodo laico, allora gli altri o ne sono avversari oppure fanno i pesci in barile. Il che, in un'epoca di teo-con, non è il modo migliore per sostenere una politica laica.Federazione dei LIberali1 a