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giovedì 5 febbraio 2015

Raffaello Morelli sull'elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica

Caro direttore, il tuo editoriale sull'elezione del presidente Mattarella, 'E' già qualcosa', ha di sicuro un titolo felice. Di certo, è già qualcosa che in quattro votazioni i grandi elettori abbiano saputo compiere una scelta (tra l'altro, di una persona esperta in politica e in dottrina costituzionale, sobria nel parlare e coerente nelle proprie convinzioni cattoliche di rito democristiano). E le tesi che sostieni sono riflessioni talvolta d'area, talvolta realistiche e, nel complesso, un contributo utile al dibattito che dovrà aprirsi sul nuovo stato di cose. Tuttavia, proprio in vista di tale dibattito, nutro dubbi sulle righe conclusive del tuo articolo. Riconosco che qui fai un'affermazione importante: "L'elezione di Sergio Mattarella non cambierà la Storia". Ma ciò confligge con la frase successiva, ovvero nel merito che avrebbe questa elezione di configurare la possibilità di una nuova sintesi strategica e politica tra le culture riformiste, finora divise. Infatti, tale nuova configurazione richiederebbe un forte cambiamento dell'impostazione seguita da anni. Mentre l'elezione di Mattarella è stata rapida solo perché si è proseguito nella vecchia via, uniformandosi ai desideri del potere 'leaderistico' prevalente, evitando altresì di impegnarsi su progetti di regole, in prospettiva, diverse. Nel centro-sinistra, in realtà ognuno ha agito pensando solo alle proprie posizioni: 'Sel' contro il patto del Nazareno e contro il programma del Governo; la minoranza Pd contro l'interpretazione 'renziana' del patto medesimo e per rafforzare le richieste di modifica alle principali riforme in corso; il Ncd di Alfano e l'area popolare contro la possibilità di perdere il posto al 'tavolo' del Governo (se non acquiescenti) anche a costo di perdere di coerenza nel proprio disegno; Renzi e la sua 'corte' per ricompattare, al momento, il Pd con il sogno di sanare la ferita dei 'franchi tiratori' del 2013, anche a prezzo di incrementare il 'trasformismo', inaugurando cioè una terza maggioranza; Forza Italia, dal canto suo, si è talmente fissata sulla 'mistica' del Nazareno e delle sue 'briciole di potere' da mostrarsi sprovveduta e farsi raggirare anche sulle trattative tattiche. Insomma, nessuno ha indicato nuove 'piattaforme di convergenza' a proposito del da farsi per il Paese. In ciò sta la mancanza del cambiamento e il segno della conservazione. L'elezione di Sergio Mattarella è una 'cappa' conservatrice, in termini politici, che non muta per il carattere della persona eletta, molto dignitosa ma di costante fede conservatrice (confermata nel suo discorso al parlamento in seduta comune, in cui i richiami alla comunità hanno sovrastato quelli alla libertà). Si dimise da ministro tentando di impedire l'approvazione della legge Mammì, che toglieva il monopolio alla Rai; promosse una legge elettorale che modificò il sistema secondo le indicazioni decise dai cittadini, ma senza abbandonare il proporzionale ed evitando il pieno maggioritario di collegio, che rende davvero arbitri i cittadini; più di recente, si batté fino in fondo per evitare l'ingresso nel Ppe di Forza Italia, che sottraeva alla Margherita il monopolio dei rapporti con i popolar conservatori europei. All'Italia non servono le 'cappe' conservatrici del disastro in cui si trova. Né servono le 'mitiche sintesi', soffocatrici delle diversità individuali e culturali. Serve, invece, la convergenza tra diversi su un progetto, magari limitato, che però attivi veramente un cambiamento non 'parolaio'. Eppure, Renzi continua con le sole parole. Retoricamente dice: "La vicenda 'quirinalizia' non rientrava nel Nazareno", rassicurando, da un lato, l'ossessione 'antiberlusconiana' e, dall'altro, dando a Berlusconi il messaggio di voler 'fare come prima', quando i numeri di Forza Italia si sono rivelati determinanti, in varie occasioni, su riforme costituzionali ed elettorali. Dice che, ora, si è messo "il turbo alle riforme", confondendo la propria spregiudicatezza con i numeri in parlamento, ma i contenuti non hanno un 'disegno', se non la momentanea convenienza tattica. Con le parole si promette speranza, ma la speranza di oggi può acuire le difficoltà di domani, quando non seguono fatti che migliorino la vita quotidiana. Per avviare un progetto, magari limitato, di effettivo cambiamento non servono sintesi: è indispensabile la rappresentanza politica e parlamentare di una formazione caratterizzata dalle idee e da comportamenti laici e liberali, che storicamente lavorano al cambiamento, di continuo e in modo fisiologico, attraverso scelte concrete e la verifica delle cose. Tale formazione non si costruisce 'sventolando figure' che non hanno mai rappresentato l'impostazione dei laici impegnati a convergere, bensì di quelli fedeli a simboli sempre uguali a se stessi nel 'solipsismo'. Del resto, la metodologia individuale non è la politica dei grandi personaggi che pensano a far prevalere un individuo, ma il puntare sempre a regole di convivenza imperniate sullo stare ai fatti e sulle esigenze quotidiane del cittadino. Non solo i principi, ma i fatti stessi, ci dicono che i laici non possono volere e praticare il 'leaderismo'. Così come i fatti hanno provato il fallimento sia di chi ha sognato Forza Italia, nella sua prima e poi nella sua seconda maniera, estranea alla mentalità laica, sia di chi ha concepito il Pd quale 'indistinzione' culturale, portando ad annegare i principi laici e liberali, nonché privando il Paese del contributo della sinistra medesima, alternativo ai conservatori. Vogliamo prenderne atto tutti e darci una mossa per costruire tale formazione, senza più confondere il realismo con piccole convenienze asfittiche, che consegnano sempre il Paese al leader di turno?





Presidente della Federazione dei liberali italiani

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