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martedì 24 luglio 2012

IL DEBITO PUBBLICO ACCUMULATO : UNA RISPOSTA LIBERALE ALLE DICHIARAZIONI DEL SOCIOLOGO GALLINO (RILASCIATE A IL TIRRENO)

Nell’intervista di ieri al prof. Gallino, sono riapparsi concetti del passato privi di riscontro nei fatti. Cominciano con: io non canto nel coro del pensiero neoliberale egemone in Italia e in Europa. Proseguono dicendo: la visione neo liberale è che non ci sono alternative a tagli e riduzioni del settore pubblico.  Sentenziano che il PD ha fatto proprie le ricette neoliberali. E concludono asserendo che l’egemonia neo liberale sta uccidendo il paese. Tutto senza ragionare sulla natura della crisi in atto, a livello internazionale e in Italia, e senza spiegare il perché secondo lui basterebbe che lo Stato continuasse a investire ed intervenire. E’ evidente che il vero obiettivo è il PD. Ma parlare di ricette neoliberali è una fantasia drogata che inganna i cittadini circa la reale posizione liberale sulla crisi e sulle cose da fare per l’Italia (tra l’altro i liberali non hanno potere da anni).

La crisi è il frutto di un esasperato monetarismo senza rapporto con i reali meccanismi di produzione e teso al consumo immediato a prescindere dal domani e dalle  variabili incertezze del vivere. Da qui la crisi negli Stati Uniti. La crisi si è poi estesa ad un’Europa incapace di rispondere con regole per imbrigliare l’irresponsabilità delle agenzie di rating e si è mischiata con una serie di altri fattori legati alla globalizzazione. Dalla sorda lotta valutaria USA contro l’euro, alla rigidità strutturale di molte economie europee, agli oscuri maneggi di grandi istituzioni finanziarie, all’eccesso di burocratismo di Bruxelles, ai mancati cambiamenti dell’Europa dopo Maastricht e la decisione sull’Euro. Tutto si è irrigidito, sono prevalsi in molti paesi tenori di vita superiori a quanto i rispettivi redditi avrebbero consentito (dato che, con buona pace del Prof. Gallino, i redditi non li produce lo Stato e se non vengono prodotti non possono poi essere distribuiti) e la crisi ha fatto saltare diffuse consuetudini privilegiate in cui ci si cullava socialmente.

L’Italia, in più, ha la piaga di un debito pubblico accumulato molto alto rispetto al prodotto annuo. E’ stata valutata molto in ritardo (per anni  si pensava alla concorrenza del drago cinese senza immaginare la crisi finanziaria USA) ed in aggiunta si risponde alle difficoltà dello Stato nel finanziare il pagamento del debito, battendo la strada di dare più liquido alle sue strutture e alle strutture bancarie (attraverso maggiori tasse, revisioni della spesa pubblica senza riduzione del perimetro pubblico, e massicci prestiti europei agli Istituti di credito a bassissimi interessi) e non la strada di finanziare la rimessa in moto capillare della produzione e una equilibrata domanda di consumo. Tutto ciò per la paura di dire agli Italiani che la crisi c’è, non è la solita congiura  del capitalismo dei ricchi e che si può superare affrontando innanzitutto la drastica e rapida riduzione del debito pubblico accumulato: la sola cosa che rende possibile il contestuale abbassamento delle aliquote fiscali, a cominciare da quelle sul lavoro e dell’IVA, che incidono in modo diretto e quotidiano. Le riforme delle pensioni e del lavoro sono state un primo passo, il rigore nel tenore di vita è indispensabile, ma senza la ripresa produttiva diffusa con l’innovazione innescata dalla voglia dei cittadini, non si uscirà dall’angolo. Per  la ripresa produttiva che si innescherà quando si abbasseranno le stratosferiche aliquote fiscali, occorre la drastica riduzione del debito. E questa non si fa con i sogni teorici. Si può ottenere solo attraverso consistenti cessioni di proprietà pubbliche ed una assai sostanziosa partecipazione del risparmio privato (che del resto è, proporzionalmente, di gran lunga il maggiore del mondo occidentale) che forniscano in tempi brevi risorse fresche da destinarsi esclusivamente – sotto il controllo della Presidenza della Repubblica – al pagamento dei titoli pubblici man mano in scadenza, così da evitare per qualche tempo le aste del tesoro e togliere così di bocca i lecca lecca alla speculazione internazionale. I liberali lo dicono da almeno sette mesi. Lo hanno già scritto anche su Il Tirreno.


Raffaello Morelli

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